Mario Fittipaldi, cardiochirurgo, ha costruito il suo CV all’estero negli anni, dalla Spagna alla Nuova Zelanda. A Gennaio ha vinto un concorso in Italia ma in 6 mesi è stato assegnato all’attività chirurgica in poche occasioni, così ha deciso di tornare nel Regno Unito.
“La mia storia non ha colore politico, ma chiede giustizia. Dopo anni di lavoro all’estero sono rientrato in Italia ma in questi mesi non mi è stato permesso di fare il mio lavoro” racconta Mario Fittipaldi. Ha lavorato in Spagna, a Madrid, in Nuova Zelanda, come cardiochirurgo pediatrico e in Gran Bretagna a Londra.
“Ho al mio attivo una buona produzione scientifica e didattica, una partecipazione ad oltre mille interventi di cardiochirurgia pediatrica. Ma questi dettagli, nella realtà dei fatti, lasciano il tempo che trovano”, continua. La scelta di andare all’estero per Mario è stata da subito molto sofferta. “Estremamente sofferta – spiega –. L’allontanarmi dagli affetti e con difficoltà costruire un futuro in posti che ho cercato di chiamare casa ma che casa non erano, non è stato facile”. La sua base è sempre rimasta l’Italia: “Rientrare, però, può sembrare praticamente impossibile”.
Mario ha perseverato, investendo tempo e denaro partecipando a concorsi in Italia. Nel gennaio 2020 ha vinto il concorso per un posto come cardiochirurgo in ospedale ma spiega: “Nonostante il mio training specifico, non mi è stata data la possibilità di lavorare in cardiochirurgia pediatrica. Anzi – continua – l’Unità cui sono stato assegnato, per affinità chirurgica dovrebbe occuparsi solo di pazienti adolescenti, ma di fatto non è cosi”.
“Si parla tanto di cervelli in fuga. Molti di noi, senza agganci politici, stanno cercando di rientrare, ma trovano la propria professionalità messa da parte”. “Sono tornato in Italia e sono stato messo da parte – ha scritto nella sua lettera al Presidente della Repubblica –, non potendo lavorare e fare quello per cui mi sono formato negli anni, con passione e sacrifici”. A questo punto, però, Mario non vuole smettere di provarci: “È davvero assurdo pensare che la Sanità del mio paese non riconosca le mie competenze. Spero solo di poter continuare a fare il mio lavoro e servire i piccoli pazienti e le famiglie. Ma il sistema italiano, a volte, – conclude – non esalta chi mette la propria passione davanti a tutto”.
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