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La fuga dei medici chirurghi italiani all'estero

La fuga dei medici chirurghi italiani all’estero

Medici chirurghi: mettono il bisturi in valigia e fuggono dalle sale operatorie italiane. Scappano dal Bel Paese che non offre occupazione, anche se la carenza di personale registrata negli ospedali dimostra il contrario.

 

Fuggono dalla dilagante piaga del precariato, dal blocco del turnover e da pazienti dalla causa facile. Sono i chirurghi o aspiranti tali che, stanchi di attendere una riforma strutturale del sistema sanitario, stanno varcando i confini nazionali in numero sempre maggiore. E l’Italia entro pochi anni sarà costretta ad importarli dall’estero.

L’allarme per la penuria di medici, e nello specifico di specializzati in chirurgia generale, nasce a partire dal 2012, anno in cui inizia a registrarsi un trend negativo tra uscite ed assunzioni.

Secondo un’indagine svolta dell’Anaao Assomed, l’associazione medici dirigenti, confrontando i dati relativi ai flussi pensionistici nel SSN dal 2014 al 2023 con le capacità formative post laurea,  l’Italia in un decennio subirà una netta diminuzione  di camici verdi.

Un buco tra pensionamenti ed assunzioni che tenderà ad allargarsi entro il 2023. Dati alla mano,tra sei anni nei nosocomi italiani mancheranno all’appello almeno 911 chirurghi. Da uno studio di Federspecializzandi, la confederazione delle associazioni dei medici specializzandi,  emerge che, nel 2010, la quota di assunti di ruolo in Chirurgia Generale ha coperto solo il 10% del fabbisogno nazionale ed il 20% nella chirurgia specialistica.

Il blocco dei turnover  sbarra l’accesso ai concorsi nelle aziende sanitarie locali e rende sempre più difficile il ricambio fra nuove e vecchie generazioni.

«Per formare un’equipe medica ci vogliono almeno 2 chirurghi – afferma Diego Piazza,  Presidente dell’Acoi,  l’ associazione chirurghi ospedalieri italianie pensi che in alcuni nosocomi in Sicilia ci sono reparti con uno solo.  Con il blocco delle assunzioni più di 7mila chirurghi andati in pensione non sono stati rimpiazzati – precisa – Ed il paradosso è che l’età media dei chirurghi va aumentando mentre il numero si va riducendo progressivamente.  L’unica soluzione per arrestare la futura desertificazione delle sale operatorie – prosegue Piazza – è l’incremento del numero di borse di studio per gli specializzandi in modo da poter avere un fabbisogno sufficiente per i prossimi anni».

Secondo il preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Rocco Bellantone, a contribuire alla riduzione del numero di specializzandi in Chirurgia è la modalità di accesso alle scuole di specializzazione basato esclusivamente sui quiz.« Questo sistema  garantisce una maggiore trasparenza  – asserisce Bellantone – ma allo stesso tempo, offre anche una valutazione aleatoria del candidato.

Tant’è vero che  – spiega – spesso entrano in chirurgia giovani che non hanno la minima vocazione o il minimo interesse, stanno un anno ed occupano la borsa di studio e poi abbandonano per fare tutt’altro. Per questo motivo a mio parere – precisa –  si dovrebbe ridare un certo valore al percorso formativo dell’aspirante chirurgo e all’internato e attuare una programmazione seria per gli accessi alle scuole di specializzazione  che tenga  conto delle esigenze nazionali presenti e future».

Ma una volta specializzati, con almeno 11 anni di studio tra laurea e specializzazione, ci si ritrova un esercito di precari. Chirurghi che fanno turni massacranti in corsia con contratti a termine che, non vengono rinnovati,  perché le strutture sanitarie hanno un gran bisogno di loro ma non hanno le risorse necessarie per nuove assunzioni.

«Così da noi si perdono specializzati in Chirurgia che cambiano mestiere o vanno a lavorare in Pronto Soccorso, in specialistiche ambulatoriali o fuggono all’estero  e noi abbiamo già perso almeno una generazione  – echeggia Francesco Corcione, presidente della SIC (società italiana chirurgia)- » .

Lasciano l’Italia e prenotano un biglietto di sola andata verso Paesi che offrono loro maggiori opportunità come Francia, Germania, Inghilterra e Svezia.

Questo esodo di cervelli ha molteplici conseguenze negative. Come la spesa dello Stato per la loro istruzione. Formare un chirurgo costa. Ed anche tanto. « In Italia spendiamo la rispettabile cifra di circa 130 mila euro a specializzando –  afferma  Francesco Corcione –  e poi ci lasciamo scappare questi talenti che vengono assunti da altri Paesi  che beneficiano di medici già formati a costo zero, mentre il nostro sistema nazionale sanitario si impoverisce sempre di più».

Ad allontanare i futuri camici verdi dalle corsie ospedaliere italiane è anche l’elevato rischio di denunce penali: 5 chirurghi su 8 rischiano nella loro vita professionale un procedimento giudiziario.  Cosi sono numerosi i chirurghi che si rifiutano di eseguire operazioni rischiose per paura di subire un processo penale ed altre tanto numerosi i  giovani medici  che decidono  di abbracciare discipline specialistiche meno esposte alla valanga di richieste di risarcimento danni.

Ma le prime avvisaglie di miglioramento – afferma Corcione – si iniziano ad intravedere con il ddl sulla responsabilità professionale sanitaria, che ha già avuto il via libera alla Camera, e che ricostituisce un nuovo equilibrio nel rapporto tra medico e paziente».

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