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ricercatrice pluripremiata in italia

“Negli Stati Uniti sono una ricercatrice pluripremiata, in Italia una precaria. Come se il mio lavoro fosse un hobby”

Marilena Ciciarello se lo ripete più volte: “La verità è che scoraggerò fino all’ultimo le mie figlie a fare le ricercatrici. A meno che decidano di andarsene all’estero”. Marilena è una scienziata di 43 anni vincitrice nel 2019 del premio Ash Giuseppe Bigi Memorial Award grazie al suo studio sui meccanismi che alimentano la leucemia. Un premio molto importante negli Stani Uniti mentre in Italia passa quasi inosservato.

 

Stati Uniti e l’Italia

 

“All’estero il lavoro da ricercatore è tra i lavori più apprezzati, tra quelli più prestigiosi. In Italia invece viene considerato quasi un hobby, non una vera professione. Per intenderci un mio responsabile durate una delle prime esperienze in laboratorio ha avuto il coraggio, quando mi sono presentata nel suo studio per chiedergli uno stipendio come da lui promesso, di dirmi che non posso pretendere tanto perché ‘si sa il ricercatore deve essere per forza un figlio di papà'”.

Oggi Marilena è madre di due bambine e porta avanti le sue ricerche grazie a un contratto con l’Ail, attraverso il programma “Adotta un ricercatore”, porta avanti le sue ricerche. La mamma adottiva di Marilena è una signora francese che da molti anni vive a Bologna e si chiama Marie Paule Vedrine. “Ogni tanto ci sentiamo. Lei è venuta qui, le ho presentato il mio progetto, la tengo informata su come procede e la ringrazio nelle mie pubblicazioni”.

Marilena ogni anno deve sperare in un rinnovo: è stata per sei anni una dei tanti ricercatori destinatari dell’assegno di ricerca come previsto dalla legge Gelmini del 2010, ma che una volta passati i 6 anni ricadono nella precarietà. “Se per quelli come noi non si crea una soluzione ad hoc saremo fuori per sempre”.

La ricercatrice di Bologna, con origini calabresi, si sente abbandonata: “Da anni la ricerca non rientra nei piani dei governi. Per questo sono stata tentata di mollare tutto”. Eppure il suo è un curriculum di tutto rispetto. Anzi, di più: ha studiato all’università Sapienza di Roma dove si è laureata in Biologia, per poi fare un dottorato in Genetica e Biologia molecolare e una specializzazione in Genetica applicata.

Dopo un periodo nella capitale, in un laboratorio del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con una borsa della Fondazione dell’Airc-Associazione italiana per la ricerca contro il cancro (Firc), nel 2009 si trasferisce all’Istituto di ematologia Seragnoli di Bologna dove lavora nel Laboratorio di terapia cellulare diretto da Antonio Curti, unità operativa di Ematologia guidata da Michele Cavo. Prima con un contratto di 3 anni e poi con un assegno di ricerca ottenuto con la riforma Gelmini. E infine l’accordo con l’Ail.

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