Sono passati quasi 8 mesi, ma ricordo ancora bene l’arrivo a Londra per studiare giornalismo, e gli italiani che tentarono di offrirmi un lavoro in cambio di soldi.
Era agosto, un caldo che non mi sarei aspettato di trovare nella piovosa Inghilterra.
Con un carico di sogni e speranze, lascio Messina per tentare un’esperienza all’estero che mi permettesse di arricchire il curriculum e specializzarmi alla London School of Journalism.
Non conoscendo Londra, evito di pagare un deposito per l’affitto alle centinaia di improvvisati e giovanissimi affitta camere che bazzicano neigruppi Facebook di italiani a Londra. Questi ragazzi – spesso appena maggiorenni, oltre che inaffidabili – operano dalla zona due in poi: periferia. Tutti affittano case in cui le misure minime di igiene sono pressoché inesistenti.
Tra i tanti italiani conosciuti, ricordo bene Renato della Real Estate di Willesden Green. Romano, 40 anni circa, Renato mi parla brevemente di sé nel nostro primo incontro: “Sono un ex agente immobiliare fallito nel Lazio. Londra rappresenta per me una buona possibilità: qui guadagno 200/300 sterline al giorno”.
Renato è stato uno dei primi incontri con italiani in Inghilterra. Mi affido a lui per trovare casa vedendo anche il grande ascendente che aveva sui giovani colleghi italiani dell’agenzia brasiliana in cui lavorava poiché compagno della proprietaria.
Sembra la classica persona di cui poterti fidare arrivando in una città straniera dove non hai né amici né conoscenti. Mi mostra abitazioni con anche 18 persone o case con un livello di sporcizia e una puzza inimmaginabili: Willesden Green, Willesden Junction, Dollis Hill. Renato capisce ben presto che non avrei mai affittato una delle sue case.
Per ottenere comunque qualcosa da me, mi chiede: “Ma tu lo vuoi trovare un lavoretto per pagarti l’affitto? Ho un’amica, anche lei italiana, che trova lavoro a tutti come cameriere o lavapiatti”.
Allettato dalla proposta, chiedo come ottenerlo.
Lui: “Hermes, se vuoi lavorare devi pagare. Paghi 70/80 sterline o quelli che ti chiede la signora ed il giorno dopo lei ti trova un lavoro. Anche io ho iniziato così: appena arrivato e non parlando per nulla l’inglese, trovai un posto da lavapiatti. All’inizio accetta tutto quello che ti offre; poi, se paghi qualcosa in più, magari ti trova un lavoro migliore. Guarda che funziona così qui: tutti gli italiani che non sanno l’inglese o i più giovani, passano da lei per trovare lavoro”.
Provò a darmi un volantino con i numeri utili ma non accettai l’offerta e, da quel giorno, rimasi alla larga da Riccardo. Ma tanti connazionali – spesso giovanissimi – hanno accettato l’offerta e, dopo aver pagato, non solo non hanno ottenuto un lavoro ma, se “fortunati”, hanno lavorato sottopagati ed in ambienti malsani e fatiscenti. A prova di ciò, le migliaia di foto e post pubblicati nottetempo e piazzati su Facebook.
Cercando in rete, sono tantissimi i casi di italiani fregati da queste agenzie che offrono lavori immaginari o veri e propri pacchetti “lavoro+abitazione” a cifre allettanti per chi, dall’Italia, non conosce la realtà inglese in cui, senza saper la lingua e senza un colloquio di lavoro – oltre al dover possedere il National Insurance Number (NIN) – nessuno ti permette di lavorare.
Ho avuto la chance di raccontare tutto questo a Beppe Severgnini, lo scorso marzo, nel corso del nostro incontro presso l’Istituto italiano di cultura di Londra in occasione della presentazione del libro di Barbara Serra – “Gli italiani non sono pigri” -. Grazie a Severgnini, la truffa ha trovato spazio sulle pagine del Corriere della Sera e, successivamente, Andrea Valdambrini se n’è occupato per Il Fatto Quotidiano.
Il Consolato Generale d’Italia a Londra si è accorto delle difficoltà iniziali da parte dei tanti giovani italiani in Inghilterra e Galles, ed ha lanciato il progetto “Primo Approdo”, dedicato alla memoria di Joele Leotta. Due incontri tematici al mese (lavoro, studi, fisco, salute) per fornire un orientamento ai quasi mezzo milione di connazionali in quel di Londra.
Aprite gli occhi ragazzi: molti italiani non aspettano altro che darvi il benvenuto e ricordarvi che non c’è bisogno di restare in italia per essere “solati”. Perché, oltre al cibo, alla simpatia e alle nostre indubbie capacità riconosciute nel mondo, noi italiani, all’estero, ci portiamo dietro anche le cattive abitudini.