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I cinque paesi con le tasse più basse in Europa

Quello delle tasse è un tema caro ai politici di tutti i paesi occidentali: tagliarle comporta infatti sempre un certo ritorno elettorale, mentre la necessità di aumentarle è un rischio, a cui bisogna andare incontro cercando di scaricare la responsabilità su altri soggetti spesso invisibili e distanti, siano essi la globalizzazione, la crisi economica o l’Unione Europea.

In Italia la questione ha assunto un rilievo molto particolare negli ultimi anni, anche perché la pressione fiscale è aumentata mentre, parimenti, è in corso una spinta alla razionalizzazione dei servizi e dei costi del settore pubblico. A differenza di quanto si pensi, però, l’Italia non è il paese più tassato del mondo e nemmeno d’Europa, visto che democrazie nordiche – che però garantiscono servizi efficientissimi – come la Danimarca, la Svezia, la Finlandia e la Norvegia ci superano ampiamente.

Al di là di questo, però, può essere interessante scoprire quali sono i paesi, in Europa, che riescono a tenere le tasse ad un livello particolarmente basso, per studiarne le scelte economiche. Certo, però, non è facile calcolare il peso delle tasse, perché certe imposte sono comuni a tutti i paesi ma altre sono specifiche e non sempre confrontabili: per questo abbiamo usato come indice il rapporto tra il gettito fiscale totale e il PIL di un paese, per vedere quanta parte della ricchezza di un popolo viene richiesta dal rispettivo Stato; un rapporto che nelle rilevazioni del 2015 vede l’Italia al 42,6%, ma che per quanto riguarda noi può essere in parte falsato, visto che il PIL tiene conto anche della cosiddetta economia sommersa (che però evade le tasse) e questo implica che probabilmente quella percentuale è in realtà più alta. Ma vediamo come è messo chi paga meno tasse di noi.

Lituania

Una pressione fiscale in forte calo, ora al 20,9%

Come vedremo, tutti i primi cinque paesi della nostra classifica sono dell’est Europa, dell’ex blocco sovietico. Per trovare dei paesi che potremmo definire occidentali bisogna infatti scendere al settimo posto, dove incontriamo la Svizzera (col 29,4% di tasse), quindi al decimo con la Grecia (30,0%), al dodicesimo con l’Irlanda (30,8%), al diciottesimo con Malta (35,2%) e al ventesimo col Lussemburgo (36,5%).

In testa c’è infatti la Lituania, che ha un’imposta sul reddito particolarmente bassa (al massimo l’aliquota sale fino al 15%), a cui si sommano anche poche tasse sulle aziende (anche qui la percentuale è al 15%), mentre decisamente più alte sono le trattenute in busta paga (39,98%). L’IVA – o, meglio, il suo corrispettivo – è al 21%, ma in generale a queste imposte non se ne devono sommare molte altre (gli introiti derivanti da queste voci superano infatti ampiamente il 90% del gettito fiscale totale) e la pressione fiscale complessiva si attesta quindi al 20,9%, il più basso d’Europa. Un livello che è sceso soprattutto negli ultimi anni: solo nel 2012, anche in conseguenza di una serie piuttosto rapida di innalzamenti dell’IVA, la pressione fiscale nel paese era stimata attorno al 27,5%, un valore comunque basso ma che è decisamente crollato negli ultimi tre anni.

Questi cambiamenti sono motivati anche dalle ampie riforme che il paese sta vivendo. Dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica il sistema sociale è rimasto immutato, garantendo tutti i diritti essenziali come un sistema sanitario gratuito, la pensione di vecchiaia e di invalidità, le ferie pagate e così via, ma nel corso degli ultimi anni alle prestazioni pubbliche (di livello a volte piuttosto basso) si sono via via aggiunte anche agenzie private; questo ha fatto sì che le spese statali nel settore sociale sono scese considerevolmente, cosa che ha sì permesso di abbassare le tasse ma che ha portato anche a maggiori disparità di trattamento.

Albania

Al secondo posto della classifica troviamo l’Albania, paese in cui la pressione fiscale nel 2015 è stata appena del 22,9%, ripartita con una certa uniformità nelle varie tasse principali: l’imposta sulle imprese è al 15%, l’IVA è al 20% mentre la tassa sul reddito è da poco diventata progressiva (dopo essere stata per qualche tempo fissa al 10%) e prevede tre scaglioni, con rispettivamente lo 0%, il 13% e il 23% degli introiti da versare.

Ovviamente tasse così basse hanno un costo in termini di servizi non indifferente: come molti di noi ricordano, la fine del comunismo comportò anni di grande fervore economico ma anche di grandi problemi sociali nel paese che si trova di fronte alle coste pugliesi. Gli anni ’90 furono infatti anni di liberismo estremo che portarono però rapidamente al collasso il sistema, tanto è vero che nel 1997 lo stesso governo dovette dimettersi davanti a una crisi soprattutto sociale che pareva inarrestabile.

Inoltre, anche negli anni Duemila fortissime sono state sia la corruzione che l’economia sommersa, che, come già detto, non vengono conteggiate nel PIL e quindi non forniscono un gettito fiscale atto a risolvere le questioni sociali. Questi problemi, anzi, sono diventati centrali solo recentemente, nel 2013, con la perdita dal potere da parte di Sali Berisha – che aveva bene o male governato il paese per vent’anni – e la salita al governo di Edi Rama, che ha varato una serie di riforme (e di nuove tasse) volte anche a valorizzare l’ambiente e a ridurre le disparità sociali. La strada da compiere è però ancora lunga.

Croazia

La mancanza di imposte secondarie porta la pressione fiscale al 26,6%.

Al terzo posto si piazza un altro paese vicino al nostro e legato a noi da rapporti storici e, recentemente, anche turistici: la Croazia. Qui la pressione fiscale si aggira attorno al 26,6%, con un’imposta sul reddito che varia dal 12 al 40%, un’imposta sulle imprese del 20%, il 25% di IVA (anche se sgravata su certi beni, come anche i libri) e una trattenuta sullo stipendio che ha una componente nazionale (pari al 37,2%) e una locale che varia da zona a zona.

La Croazia, quindi, riesce ad avere una pressione particolarmente bassa soprattutto grazie alle basse imposte sul lavoro e all’abbassamento o alla mancanza di altri tributi che sono normali nel resto dei paesi: così non ci sono tasse sugli interessi bancari, tasse sulla prima casa o tasse di successione. In ogni caso, la particolarità è che un certo margine sulle imposte è lasciato alle città in cui si vive, e anzi più è grande la città più le tasse sono passibili di crescita.

Montenegro

Tasse appena al 28% anche per attirare gli investitori

Rimaniamo nell’area della ex Jugoslavia con il Montenegro, che ha una pressione fiscale globale solo del 28%, dovuta soprattutto al basso peso delle tasse più comuni: l’imposta sul reddito varia appena dal 9 al 15%, quella sul lavoro è anch’essa al 9%, mentre l’IVA arriva al 19%.

Un regime di tasse così basso è dovuto anche alla povertà del territorio, che è uscito letteralmente martoriato dal difficile periodo che ha segnato la fine della Jugoslavia. Già prima degli anni ’90, sotto lo stato sorto alla fine della Prima guerra mondiale, il Montenegro era una delle zone economicamente più depresse, con poche industrie che sopravvivevano solo grazie alle commesse statali; la dissoluzione del paese, la guerra e le successive sanzioni dell’ONU hanno messo in ginocchio il paese, segnando una lunghissima crisi economica, con anche una iperinflazione che è stata valutata come la seconda più grave della storia dell’umanità.

Ucraina

Imposte al 28,1%, ma con la crisi

Concludiamo, al quinto posto della graduatoria, con l’Ucraina, che vanta una pressione fiscale al 28,1%, dovuta a una tassazione sulle imprese del 18%, una sul reddito al 15%, un’IVA al 20% e una serie di trattenute sullo stipendio – che finanziano anche il sistema pensionistico – attorno al 33%.

Negli anni ’90 c’è stata anche qui una spinta iperinflattiva dovuta al passaggio dall’economia pianificata a quella di mercato, che è stata parzialmente risolta all’inizio degli anni Duemila anche grazie all’industria pesante, che è rimasta qui dalla dissoluzione dell’URSS e ha continuato ad operare anche con buoni risultati; ma la crisi di Crimea e la situazione politica interna sempre più caotica hanno fatto ricomparire i vecchi incubi, svalutando nuovamente la moneta e mettendo a rischio la comunque fragile economia del paese.

Il basso impatto delle tasse, quindi, è da motivare da una parte con i bassi introiti dei cittadini, visto che ancora una buona parte della popolazione – spesso quella delle campagne – vive sotto la soglia di povertà ed ha perso parecchio potere d’acquisto rispetto all’epoca sovietica; dall’altra con anche la corruzione e l’economia sommersa, che tengono nominalmente più basso l’indice delle tasse per il meccanismo che spiegavamo in apertura.

 

 

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